La ricerca della perfezione è insieme una croce e una delizia; è una leva potente che ci sprona ad alzare l’asticella in un modo a volte estenuante, è uno stimolo che ci migliora, ma se la situazione ci sfugge di mano può diventare il nostro peggiore incubo, generando una costante frustrazione.
L’ho scelto come tema del mio primo articolo – sì è il primo, sì anch’io ho aperto un blog, no il blog non è morto, bla, bla, bla – pensando al Batman di Robert Pattinson e agli ultimi film della serie Avengers. Sono diventata un’appassionata di supereroi da adulta, quando le trame dei film della Marvel mi hanno portato in un mondo assoluto, fatto di bene e male, luce e oscurità, forza e debolezza. Non che prima non mi ci fossi mai avventurata: Star Wars l’ho consumato al cinema dell’oratorio, ho divorato tutto ciò che di fantasy ha scritto Marion Zimmer Bradley, ho amato ogni riga del Signore degli Anelli e anni dopo del maghetto di Hogwarts, però agli eroi della Marvel sono arrivata tardi. E quello che ci ho trovato è stato proprio questo, tanta fantastica imperfezione.
Infinity War e Endgame sono film superbi che mi sono piaciuti soprattutto perché sono dannatamente intimisti e malinconici; gli eroi, quelli che combattono per i fragili, lo sono a loro volta; cadono in preda a crisi personali, fanno i conti con passioni, umori e sensazioni che li rendono “deboli”, inclini all’errore e forse per questo ancora più credibili.
Sommario
La perfezione o l’idea che abbiamo di essa, rende meno credibile una storia?
Il Batman che prende vita grazie alla bravura di Robert Pattinson – a proposito nei panni del vampiro l’ho sempre detestato, ma una volta finito sotto le grinfie di Nolan ha acquistato tutto il suo fascino – è tutto tranne che il ritratto del supereroe. La Bat caverna è uno stabile abbandonato, lui le prende e anche di santa ragione, va in crisi come tutti noi, è tutto tranne che perfetto.
Ci piace? Di più direi. Perché è assolutamente credibile e vicino a noi. Questo ci riporta a parlare di comunicazione, o meglio a come è cambiata nel corso del tempo, a quello che funziona e ai meccanismi che ci fanno apprezzare una storia o un personaggio.
Se sei troppo perfetto, rischi di essere noioso?
Sì, se non hai sbavature, ombre, pieghe dell’anima, sei perfetto, ma forse anche inavvicinabile e un po’ noioso diciamolo. Lo storytelling si basa su molti elementi, ma c’è un ingrediente che non può mai mancare, la difficoltà. È solo l’ostacolo che ci permette di migliorare e di crescere come essere umani, per questo ogni storia che si rispetti deve averne uno. Ci sono i cattivi, ci sono i buoni, c’è un evento che porta il protagonista da un punto a un punto b, e nulla sarà come prima, perché la storia esige una trasformazione, un cambiamento. Guardatevi intorno, ogni racconto o narrazione digitale si basa su questo: se ti piace, ci troverai l’imperfezione, l’ostacolo, la crepa, il cambiamento.